martedì 6 ottobre 2009

DECRESCITA, FINO A QUANDO RISCOPRIREMO L’ACQUA CALDA...

Introduzione
Mi è capitato spesso, discutendo con i difensori della decrescita di ritrovarmi a fare un intervista direttiva, che porta dritto allo sviluppo delle teorie del socialismo scientifico. È senz'altro per questo motivo che ho preso al balzo l'occasione postami da Met e stendere un documento al riguardo. Il concetto di decrescita è apparso da qualche anno e non è ancora definito unanimemente a livello scientifico-accademico. Spesso politici avventuristi se ne servono in modo populistico, senza spiegarne chiaramente le fondamenta, gli obiettivi e i metodi.
Il teorico del movimento della decrescita, Serge Latouche, si proclama un "marxista" non leninista. Non ha mai sostenuto nessuna esperienza socialista e in particolare si oppone alle tesi sull'imperialismo di Lenin. Tali posizioni rendono evidente ad ogni comunista che Latouche è un pozzo d'ignoranza in quanto a marxismo. Tuttavia, molti anche tra i comunisti si sono interessati a questo concetto, tant'è che qualcuno lo ha pure introdotto nel partito.
Ricordo che il nostro partito ha aderito a questo concetto, contro il mio parere, con la mozione del compagno Davide Rossi al XX Congresso. Mi permetto di dire che la discussione sul tema è stata molto superficiale. Con questo documento rilancio il dibattito, di modo a poter approfondire la questione e riaprire – a tempo da determinare - la discussione formale interna al partito.
Ritengo questa discussione essenziale su vari punti, sia rispetto allo sviluppo del socialismo e del movimento reale, che alle questioni chiamate “ecologiche” o “ambientali”, ossia l'idea che l'essere umano fa parte della natura. Sempre più gente si trova d'accordo con il principio che preservare la natura significa riuscire a vivere in armonia con essa. La discussione rimane però aperta su quali risposte precise bisogna dare al problema dello sfruttamento del pianeta da parte dell'essere umano. Che fare rispetto al prosciugamento delle risorse della Terra, che mette in pericolo la capacità stessa della natura a rigenerarsi?
Avere una risposta precisa ad una domanda del genere sarebbe alquanto presuntuoso. Latouche ha buttato li un'idea, ma se andiamo a studiarla da vicino, si capirà come alcune conclusioni che tira sono “accettabili”, ma non hanno nulla d'innovativo. Mentre la maggior parte sono semplicemente un ammasso confuso di concetti denaturati tra la sociologia borghese, un'economia politica molto rudimentale ed una filosofia “materialista” poco coerente.
Doverosa una contestualizzazione
Da qualche anno, tanti militanti della sinistra hanno adottato l’ideale della decrescita come nuovo obiettivo politico per le società "avanzate". Altri militanti, tra i quali qualche comunista, riprendono soltanto alcuni argomenti o frammenti della teoria della decrescita per integrarli a teorie già consolidate, tentando di rispondere in primo luogo al problema del degrado ambientale. Per quel che mi riguarda, non sono per nulla impressionato da chissà quale grande novità portata avanti dai sostenitori della teoria della decrescita.
Viviamo in un contesto estremamente difficile da oggettivare, ma è indubbio che la fase negativa, di reazione, è sempre più percepibile. La crisi profonda che tocca ormai anche i paesi a capitalismo avanzato, sia a livello economico che sociale, ambientale e culturale, è sempre più evidente agli occhi di tutti. A volte mascherata e altre volte amplificata dai media, la crisi porta ogni giorno più persone a cercare delle risposte ai grandi problemi del nostro tempo, al di fuori dei dogmi voluti dal pensiero unico, imposto dai grandi monopoli. Le risposte sono però frammentarie e imprecise, non esiste un movimento “nuovo” che sappia oggi descrivere ed interpretare esaustivamente la nostra epoca.
Quale comunista, sono assolutamente convinto che gli strumenti del marxismo-leninismo, supportati da tutte le tecniche di ricerca scientifiche e adeguati alle nuove dimensioni sociali che si sono create con lo sviluppo delle forze produttive, sono ancora oggi di gran lunga i più validi per capire il nostro mondo. Purtroppo però, lo studio del marxismo e ancora di più lo studio del leninismo e della storia del movimento comunista, stanno cadendo in disuso, anche tra molti che rivendicano l'etichetta comunista.
A sinistra sono nati tutta una serie di movimenti, che hanno preso le distanze dal movimento operaio e non riconoscono più il conflitto capitale-lavoro come la contraddizione primaria e irriducibile della società capitalista. Tra queste si è fatto strada il concetto di decrescita. La società consumistica decadente, che invade le nostre vite di pubblicità, cemento, prodotti inutili, ecc. porta molte persone ad avvicinarsi alle teorie della decrescita. Queste teorie molto superficiali, fondamentalmente si oppongono all’idea che le società occidentali abbiano ancora bisogno di crescere in termini economici e che sia necessario cambiare radicalmente il modo di consumare e di vivere.
Meno PIL per tutti! - questione economica
La prima contraddizione che si constata nella teoria della decrescita è la maniera in cui si oppongono concetti che non sono comparabili. La teoria della decrescita parte dall'idea che la crescita economica (aumento del PIL) sta distruggendo le società occidentali. Prima di tutto vorrei sottolineare come la distruzione si sia accelerata dal momento che c'è stata una "decrescita" del PIL. Nel 2009, quando in Svizzera e nella maggior parte dei paesi a capitalismo avanzato, si è toccato il picco più forte della crisi (per ora), migliaia e milioni di posti di lavoro sono andati persi, sono stati fatti tagli un po' dappertutto alle prestazioni sociali, alleggerimenti fiscali per la borghesia, aumento delle tasse indirette, ossia un impoverimento generale della popolazione e in particolare dei ceti popolari. Oso sperare che nessun sostenitore della decrescita possa approvare effetti di questo tipo. Credere che dal momento che il PIL diminuisce le cose vadano "meglio" è pura fantasia. Con i profitti che i capitalisti hanno fatto intensificando lo sfruttamento dei lavoratori, ora potranno rilanciare la crescita ancora più di prima, vedi il tasso di crescita della Germania nel 2010, che supera il 3.7%, cifre mai viste da quasi 20 anni.
Il PIL è uno strumento economico che può anche essere utile per capire come si sviluppa il commercio o la produzione in un paese e il fatto che cresca o no, non è per forza indizio di benessere per tutti.
A questo punto del ragionamento, in genere, i difensori della decrescita spesso affermano che non si tratta di una decrescita del PIL, ma una decrescita dei consumi. Ora, c'è un sacco di gente su questa terra, anche in Europa, i cui bisogni attuali non hanno risposta e quindi i loro consumi hanno bisogno di essere aumentati, questo è un punto su cui noi comunisti dobbiamo assolutamente essere coscienti e intransigenti.
Inoltre, i difensori della decrescita invalidano loro stessi il loro argomento, affermando che non si tratta di vedere cosa fa il PIL, mai di diminuire i consumi. Il problema è che se i consumi scendono anche il PIL scenderà. Ora non si tratta di diminuire i consumi, ma di cambiarli qualitativamente. Da comunisti, quando qualcuno ci propone una cosa del genere dovremmo dirgli : “ma tu hai mai sentito parlare di Karl Marx, un tedesco che ha scritto delle cose interessanti sull'economia? magari ci trovi qualche appiglio per la tua teoria”.
Tra le altre cose si potrebbe imparare che, in una società capitalista, quando i consumi diminuiscono, mentre la produzione cresce (perché nelle economia capitalista nessuno può dire al padrone di smettere a produrre, se non uno sciopero degli operai) si arriverà per forza ad una crisi di sovrapproduzione.
Tra estremismo ecologista e riformismo verde – questione politica
A livello politico, lo stato attuale della teoria della decrescita è più uno slogan che un reale strumento destinato all’analisi e alla prassi. I sostenitori della decrescita promettono un mondo incantato, fatto di pace e armonia, senza però tenere da conto che per arrivarci bisogna scontrarsi con il gran capitale. Avanzare proposte radicali, senza però tenere da conto le condizioni oggettive nelle quali certe rivendicazioni vengono avanzate, è quello che i comunisti definiscono estremismo. I comunisti ritengono che una soluzione radicale ai problemi ambientali, non possa essere sostenuta senza essere coscienti che il primo ostacolo da superare è il sistema capitalista.
Solo con il superamento del sistema di produzione ed accumulazione capitalista si potranno risolvere i problemi ecologici.
La risoluzione di un problema creato dal sistema di produzione, sostenuto dal sistema politico e ormai penetrato nel sistema culturale, lo si può combattere seriamente solamente rimettendo in discussione tutta la struttura della società capitalista, organizzando le classi subalterne, antagoniste alla borghesia monopolista, di modo a poter affrontare lo strapotere del gran capitale con i mezzi necessari per vincere la battaglia. Detto altrimenti : la dittatura del proletariato è sicuramente più sensibile ed efficace nella risoluzione dei problemi ecologici che non la dittatura dei padroni.
Vista l'impossibilità per i decrescisti di attuare il loro immaginario, quasi sempre retrocedono a rivendicazioni di stampo assolutamente riformista. Senza cercare d'incidere realmente su ciò che causa il maggior impatto ambientale : la produzione industriale e il trasporto di merci e di persone. Ad ogni modo è assolutamente fattibile sostenere proposte riformatrici in ambito ecologico, e per farlo non è assolutamente necessario sbandierare un nuovo concetto che non ci serve. Al contrario, mi pare molto più semplice rivendicare dei piani industriali che tengano conto del impatto ambientale oppure la gratuità e il potenziamento del trasporto pubblico collettivo.
Blaterare di quanto sarebbe bello... o agire – questione organizzativa
Il movimento della decrescita è quasi impercettibile, l'influenza di questo movimento è sicuramente tendenziale a zero. Se questo non invalida per forza il nucleo della teoria, mostra già i grossi limiti nel trovare sbocchi concreti per sviluppare delle lotte che favoriscano la presa di coscienza. Su questo piano organizzativo la decrescita è ferma allo spontaneismo ed al volontarismo, e non considerando minimamente la questione di classe, ne le dimensioni politiche del problema.
In effetti nonostante il sincero impegno della maggior parte delle persone impegnate nella decrescita, come comunisti dobbiamo saper analizzare con maggior profondità. Come si fa a cambiare modello di vita ad un paese intero, senza trasformare le basi materiali del sistema economico-politico-sociale?
I comunisti sono materialisti, ciò significa che non si basano su delle percezioni ideali del mondo, ma considerano le osservazioni scientifiche della materia come base di partenza. Ora, più concretamente, come può un lavoratore dipendente, quindi con pochi margini di manovra finanziari e di tempo, senza diritti democratici sul luogo di lavoro, seguire le utopie della decrescita e cambiare stile di vita? Senza liberare la maggioranza della popolazione, che subisce l'oppressione del lavoro salariato, passando quindi per il cambiamento di tutta la società nel suo insieme, per arrivare ad un sistema economico pianificato, non si potrà pretendere risolvere i problemi della società borghese decadente, tanto meno quelli ecologici.
Per i proletari, ossia la maggioranza della popolazione attiva in Svizzera, non è possibile scegliere di cambiare completamente vita. Le incertezze e le insicurezze date dalla non possessione di capitale, dalla dipendenza dal posto di lavoro, rendono molto limitate le possibilità di scelta dei lavoratori e delle lavoratrici.
L'attitudine che i comunisti devono avere verso la teoria della decrescita è una critica costruttiva, diffondendo le conoscenze del movimento comunista sui sistemi di produzione.

sabato 12 settembre 2009

Uniti per le assicurazioni sociali e popolari

Per quale motivo il movimento operaio svizzero e il Partito Svizzero del Lavoro (PdSL) si battono da sempre per le assicurazioni sociali?
Il PdSL lotta per l'unità delle classi popolari a fronte dello sfruttamento messo in atto dalla classe abbiente. Per questo consideriamo le assicurazioni sociali come pietra miliare di tale unità, in quanto mezzo per permettere una migliore ridistribuzione della ricchezza, per garantire a chiunque la sicurezza sociale e per offrire a tutte e a tutti un'esistenza dignitosa!
Sin dai tempi della fondazione dei primi partiti operai e del PSL, il tema la sicurezza sociale è stato motivo di importanti lotte. La sicurezza sociale rappresenta, dal nostro punto di vista, un meccanismo essenziale di ridistribuzione che permette a tutte le componenti della nostra società di parteciparvi: garantisce, infatti, la sicurezza di poter decidere riguardo al proprio futuro nonostante le incognite tipiche della nostra epoca, e di poter quindi costruire liberamente dei progetti di vita a lungo termine. Nella sua configurazione finale dovrebbe inoltre riuscire a offrire a tutti gli esseri umani la certezza di poter disporre dei beni di prima necessità, di un alloggio nonché dell'accesso a cure mediche di qualità.
Ma, in una società come la nostra – in cui una minoranza vive grazie allo sfruttamento delle classi dei lavoratori – chi è costretto in una condizione di grande precarietà professionale si trova, nella maggioranza dei casi, confrontato anche all'insicurezza sociale. Per questo motivo le battaglie per garantir loro un minimo di sicurezza devono partire dall'offerta di un lavoro degno e sicuro. È unicamente l'attività umana che permette di produrre le ricchezze necessarie per il benessere di tutti; il resto – rendite fondiarie, dividendi, interessi,... - altro non sono che furto e speculazione.
Una parte della popolazione è impossibilitata a lavorare per guadagnarsi da vivere: persone anziane, invalidi, disoccupati, malati, e l'elenco potrebbe essere ancora lungo. Sono state create delle assicurazioni sociali specifiche, appunto per permettere a queste persone marginalizzate di poter condurre, malgrado tutto, un'esistenza dignitosa. Nel caso in cui ci si trova – a causa dei più svariati motivi – nella condizione di non poter più lavorare è compito delle assicurazioni sociali garantire all'individuo la propria dignità. Nell'ottica di una migliore ridistribuzione della ricchezza, il PST rivendica un rinforzamento di tali misure, in quanto componenti fondamentali dell'unità delle classi popolari.
Il tema della sicurezza lo si ritrova, purtroppo, strumentalizzato dalla destra attraverso gli slogan che esaltano l'insicurezza civile mascherando l'obiettivo finale, ovvero alimentare il conflitto tra i lavoratori. Di fatto, invece di mettersi in gioco per risolvere i conflitti esistenti, la destra punta a dividere per dominare. I partiti borghesi, nella pratica, si preoccupano essenzialmente di denunciare episodi legati alla criminalità, con il fine ultimo di alimentare le paure che dividono le classi popolari. Ancora più grave è il fatto che la risposta che viene proposta all'insicurezza - con la compiacenza sempre più evidente di una certa sinistra - si dimostra troppo spesso repressiva. A che pro urlare a squarciagola che è necessario mettere al banco degli imputati gli approfittatori, gli stranieri, i giovani?
La fonte primaria di questa insicurezza è in realtà legata a un problema sociale più diffuso: numerosi studi dimostrano infatti che, dal momento in cui la sicurezza sociale smette il suo ruolo, l'insicurezza civile aumenta. Da ciò possiamo desumere che l'espansione della precarietà e della miseria altro non può provocare se non l'aumento della criminalità. Gli episodi violenti vengono poi amplificati inesorabilmente attraverso la propaganda - diffusa in malafede - tipica della destra nazionalista, avallata e sostenuta dalla stampa scandalistica. Un discorso ideale per designare dei colpevoli piuttosto che trovare delle soluzioni.
Ma le risposte repressive non intaccano l'origine del problema: per questo il Partito Svizzero del Lavoro si adopera perché la possibilità di risolvere i problemi legati all'insicurezza di strada passi per la garanzia di una sicurezza sociale di miglior livello per tutti.
Se tutti avessimo la certezza di una vita stabile - spogliata dalle incertezze materiali - i problemi d'insicurezza civile diminuirebbero sicuramente. Questo è il motivo per cui è fondamentale battersi per fermare lo smantellamento sociale: la sicurezza sociale non solo rende possibile l'appianamento delle dispute tra le differenti parti sociali, ma permette inoltre di restare uniti nella lotta contro chi approfitta delle divisioni popolari.
Il sistema capitalista in cui viviamo è, ancora oggi, basato sullo sfruttamento della maggioranza dei lavoratori, che si vede privare dei frutti del proprio lavoro da una minoranza di sfruttatori.
Il regnare dell'instabilità all'interno del mondo del lavoro incoraggia la concorrenza tra i meno fortunati, manipolati in tal senso da un pugno di capitalisti. Questa dinamica tende essenzialmente a escludere i più deboli e a costringere gli altri a condizioni di lavoro sempre più sfiancanti, pena l'essere a propria volta esclusi. Ma la legge del più forte non indebolisce solo i meno abbienti: è nociva -dal nostro punto di vista – per la l'intera società. Siamo a questo proposito convinti che attraverso l'organizzazione collettiva della società – agendo quindi in maniera comune – riusciremmo ad ottenere dei risultati migliori che non accumulando interessi individuali. Dobbiamo mettere in atto un fronte solidale in grado di rapportarsi all'ideologia dell'individualismo, dell'ognuno per sé.
A questa concezione del mondo vantaggiosa solo per i più forti è fondamentale rispondere con la solidarietà tra le classi popolari: ecco le basi della sicurezza sociale.
Bisogna pertanto andare a cercare i soldi dove ci sono; battersi perché le assicurazioni sociali siano in buona parte finanziate da chi dispone dei mezzi per farlo. In effetti solo la messa in comune dei profitti e una redistribuzione della ricchezza in favore delle classi popolari permettono di garantire la sicurezza di tutti.
Ci teniamo inoltre a sottolineare che la sicurezza sociale va considerata come un unico blocco, non come una serie di compartimenti in concorrenza tra loro. Fermo restando che l'età, lo stato di salute o l'attitudine al lavoro permettono di identificarne i beneficiari, non bisogna lasciarsi trarre in inganno dalle false dicotomie che oppongo vecchi a giovani, lavoratori e disoccupati, e via dicendo. Pensando ad una società realmente egalitaria, verrebbe spontaneo credere che una generazione possa lavorare anche per il benessere di un'altra, che i malati e gli invalidi vivano sulle spalle dei sani. Ma, al giorno d'oggi, sono quelli che ne hanno le possibilità - i più ricchi – che devono pagare in modo da assicurare lo stretto necessario a chi è marginalizzato o semplicemente anziano.
Non dobbiamo cedere alla logica della compartimentalizzazione delle diverse assicurazioni sociali. Le tesi volte a rimettere in discussione ogni prestazione, come fossero fatti indipendenti gli uni dagli altri, avranno sempre l'obiettivo inconfessabile di ravvivare le divisioni tra i veri lavoratori. Andiamo quindi a cercare i soldi dove ci sono: il PSdL si batte da sempre per imporre l'idea che i più ricchi debbano pagare per i più poveri. Non si tratta di carità, semplicemente la giustizia implica il fatto che la ricchezza prodotta grazie al lavoro delle classi popolari – quella stessa ricchezza che i capitalisti rubano impunemente – sia loro redistribuita.

venerdì 11 settembre 2009

IMPOVERIMENTO DELL'AI, IMPOVERIMENTO DEI LAVORATORI

Nei media e nei dibattiti politici l'assicurazione invalidità (AI) fa parlare di sé soprattutto per i suoi bilanci negativi. Naturalmente la destra raddoppia le proposte per diminuire le prestazioni e perseguire i presunti abusi. Tuttavia non è sempre stato così. Nata nel 1960, l'AI ha conosciuto dei bilanci più o meno equilibrati fino al 1993, prima di realizzare un deficit sempre crescente. La data non è casuale : coincide con l'inizio della crisi degli anni '90 e con la precarizzazione del lavoro che ne è seguita.
In effetti l'invalidità è considerata nella nostra sicurezza sociale come una nozione economica. In quanto tale una malattia non dà diritto a una rendita; solo se essa diminuisce durevolmente le possibilità di assunzione giustifica una pensione. In un mercato del lavoro che esige un rendimento massimo, come lo conosciamo attualmente, sono sempre più numerose le persone che si trovano senza prospettive professionali a causa delle loro condizioni di salute e che logicamente chiedono una rendita AI. E' soprattutto il caso dei lavoratori scarsamente qualificati, per i quali la concorrenza è più forte.
Affrontare gli aspetti economici dell'AI permette anche di comprendere come mai gli stranieri sono sovrarappresentati fra gli invalidi (erano il 35% degli invalidi, e ricevevano il 30% delle prestazioni, mentre erano il 20% della popolazione). Sono proporzionalmente più numerosi degli svizzeri anche fra i lavoratori e fra le persone in cerca di lavoro, svolgono più spesso dei lavori faticosi e poco qualificati e quando devono cambiare lavoro hanno più spesso delle lacune nella loro formazione e nelle loro conoscenze nelle lingue nazionali. A ciò si aggiunge il fatto che subiscono spesso una discriminazione all'assunzione. Di conseguenza sono più numerosi degli altri a perdere il loro lavoro per motivi di salute e a non poterne trovare un altro.
FASE I : INASPRIMENTO DELLE POCEDURE
La destra e l'estrema destra nascondono questi meccanismi economici per parlare di lotta agli abusi e diminuire l'assegnazione delle rendite. I primi cambiamenti non sono stati spettacolari, poiché consistevano nell'inasprire la pratica senza modificare le leggi. Dal 2003 il numero delle nuove rendite diminuisce rapidamente : dai 28100 nuovi beneficiari nel 2002 si passa ai 16600 nel 2008, vale a dire una riduzione del 40%. La Confederazione si rallegra di questa prestazione, ma i metodi impiegati sono tutt'altro che accettabili.
La riduzione coincide con un nuovo sistema di esame delle rendite, per mezzo dei Servizi Medici Regionali (SMR). L'AI ha costituito così una rete di esperti sotto il suo controllo, che esamina brevemente gli assicurati prima di dare un parere perentorio. I pareri medici sono così formalmente ineccepibili e ottengono la fiducia dei giudici. Tuttavia essi si allontanano regolarmente dalla realtà vissuta dagli assicurati e dai loro medici curanti. Diversi scandali mettono in questione l'oggettività di questo sistema : dal 2006 al 2008 il capo del SMR di Zurigo è un ex dirigente di un partito tedesco di estrema destra. Una volta denunciato il caso sulla stampa, l'AI ha licenziato il suo dipendente ma non ha rimesso in discussione le decisioni che egli aveva preso.
Quanto al SMR della Svizzera Romanda, esso ha fatto ricorso a delle perizie di psichiatri indipendenti. Fra loro è stato particolarmente apprezzato un medico particolarmente noto per la sua severità di giudizio nei confronti degli assicurati. Nonostante le critiche di altri medici e di operatori sociali durate parecchi anni, il SMR ha accumulato le perizie “indipendenti” di questo medico. Nel 2007 questo psichiatra ha ricevuto la cifra record di 141 mandati di perizie, probabilmente equivalente a un onorario di parecchie centinaia di migliaia di franchi. Nonostante tutto, il suo parere ha giuridicamente maggior valore di quello di un medico curante, sospettato di parzialità nei confronti dell'assicurato !
FASE II : INASPRIMENTO DELLA LEGGE
Sempre nell'ottica di diminuire le nuove rendite, la legge è stata modificata a partire dal 1 gennaio 2008 : ormai le rendite parziali sono riconosciute solo a partire da un tasso di invalidità di almeno il 40%. Ciò significa che la venditrice che lavorava a tempo pieno per 3000 franchi non ha diritto ad alcuna prestazione se può lavorare ancora al 60%, con un reddito di 1800 franchi al mese... Inoltre le rendite per il congiunto dell'invalido non esistono più, ciò che ha diminuito le entrate dei beneficiari di rendita. Dal 2008 sono dunque più numerose le persone che hanno bisogno di un aiuto per assicurarsi un reddito minimo : nel 2008 il 41% dei beneficiari di rendita AI ha ricevuto delle prestazioni complementari, contro il 32,4% dell'anno precedente.
FASE III : LA CACCIA AI BENEFICIARI DI RENDITA
Un po' più di un anno dopo l'ultima riforma, il Consiglio Federale programma una nuova tappa : dopo aver limitato al massimo le nuove rendite, desidera rivedere le rendite già riconosciute e applicare loro gli stessi criteri delle nuove domande. Non è nemmeno certo che la manovra sia legale : in linea di principio sono necessari dei motivi di forza maggiore per rivedere una decisione secondo dei nuovi criteri. Anche i Cantoni accolgono con sospetto questa revisione, poiché temono una ricaduta dei costi. E' tuttavia probabile che la destra del Parlamento adotti questo progetto senza tanti problemi, e ciò ci porterà a ricorrere ancora una volta allo strumento del referendum.
ANDARE A CACCIA DELLO SFRUTTAMENTO INVECE DEGLI ABUSI
L'AI si trasforma quindi in un terreno di caccia agli abusi, come è successo per il diritto di asilo : le autorità hanno cominciato a spaventarsi per l'aumento delle richieste senza prendersi il tempo per esaminare il loro fondamento. In seguito l'amministrazione è stata spinta a inasprire la sua pratica, riducendo il tempo di esame delle richieste e allontanando i centri di decisione dai richiedenti.
Le successive riforme legislative hanno poi portato ad aumentare le esigenze nei confronti dei richiedenti, a diminuire le loro possibilità e ad aumentare la libertà di apprezzamento dell'amministrazione. Grazie a questo modo di agire, le statistiche si adattano alla volontà politica. La realtà delle persone si allontana dai principi della legge : come la legge sull'asilo è stata svuotata della sua sostanza, così le vittime dell'invalidità si ritrovano sempre meno protette.
E' dunque necessario ricordare prima di tutto la dimensione sociale dell'AI, che comporta vari aspetti : il primo scopo di questa assicurazione è garantire un reddito minimo alle persone che non possono più proseguire nella loro attività. Tuttavia l'invalidità colpisce in primo luogo i lavoratori manuali e senza qualifiche. I lavori di Gubéran e Usel (2000) indicano che gli operai non o solo parzialmente qualificati sono dieci volte più soggetti all'invalidità di chi esercita professioni liberali e scientifiche : il 25,4% contro il 2,1%. Il rischio segue fedelmente la graduatoria delle qualifiche :
più ci si trova in alto nelle categorie socioprofessionali meno si rischia l'invalidità. Lo studio di Gubéran e Usel permette anche di smentire i presunti abusi e di ricordare qualche realtà sanitaria. In effetti la mortalità segue il medesimo percorso secondo la categoria socioprofessionale : meno si è qualificati più si rischia di morire prima dei 65 anni. E il tasso di mortalità degli invalidi è il doppio di quello dei sani.
L'AI è dunque un sistema minimo di ridistribuzione delle ricchezze dagli alti redditi a quelli più bassi e più precari. Non è quindi sorprendente che la destra tenti di screditare e di smantellare questa assicurazione, che merita invece tutto il nostro sostegno.