martedì 25 settembre 2012

A dieci anni dallo sciopero, le cave ticinesi ancora in fermento

Nel 2002 furono parecchi gli scalpellini che aderirono allo sciopero generale del settore edile che chiedeva un prepensionamento a 60 anni. Un anno dopo, la lotta dava i sui frutti ed il prepensionamento è diventato realtà anche per le cave ticinesi.

Tuttavia, a dieci anni di distanza, il padronato del granito e l’Associazione Industrie dei Graniti Ticinesi (AIGT) contestano l’importantissima conquista. Per tramite di uno studio legale, l’AIGT ha inoltrato un ricorso alla SECO contro l’assogettamento degli scalpellini al Contratto Nazionale Mantello dell’edilizia (CNM). Tale ricorso riporterebbe ad una situazione antecedente la Prima Guerra mondiale che non contemplerebbe dunque un Contratto Collettivo di Lavoro del granito (CCL-Ti).
La disdetta unitalerale del CCL-Ti, che fungeva da complemento al CNM, aveva già lanciato i primi segnali d’allarme ad inizio anno. Con il ricorso inoltrato a fine agosto, gli imprenditori hanno anche lanciato una dichiarazione di guerra dove non c’è pace sul lavoro che tenga. Non avere un CCL significerebbe infatti perdere: salari minimi, tredicesima, regolamentazione degli orari, una settimana di vacanza ed il pensionamento anticipato a 60 anni.
Gli operai delle cave fanno un lavoro molto duro e pericoloso per la salute. Un lavoro fisico che, fino all’anno scorso, prevedeva delle discrete condizioni di lavoro: 42.5 ore di lavoro in media alla settimana, una salario minimo di 25 Fr.- all’ora, una buona copertura contro le malattie e gli infortuni professionali, ecc.
D’altra parte il granito estratto in Ticino è destinato al mercato dell’edilizia svizzero: sia quello abitativo che delle infrastrutture. Il patrimonio di questa materia prima deve essere difeso preservando l’ambiente e la qualità del lavoro, come anche permettendo agli operai di eseguire le loro mansioni nel migliore dei modi e con delle ottimali garanzie lavorative.
Nei prossimi mesi bisognerà quindi lottare per garantire l’assogettamento degli operai delle cave al contratto degli operai edili (CNM) ed ottenere un CCL-Ti migliorativo. Dopo mesi di trattative infatti, non solo nessun risultato tangibile è stato raggiunto, ma addirittura, mediante un ricorso, si è giunti ad un ulteriore attacco contro il decreto d’obbligatorietà generale del CNM. Il rischio reale è che, anche nel settore del granito, si arrivi ad una giungla della mala-edilizia.
La strada della lotta risulta pertanto il solo cammino percorribile, secondo i sindacalisti. Riuniti in assemblea congiunta a metà settembre, gli operai delle cave ticinesi hanno approvato una risoluzione che rivendica chiaramente il ripristino dei dispositivi contrattuali. Al fine di ottenere quanto richiesto, i lavoratori hanno votato lo stato d’agitazione: “si dia mandato alle organizzazioni sindacali UNIA e OCST affinché siano messe in atto tutte le misure d’informazione e di coinvolgimento delle maestranze necessarie. Si autorizzano espressamente i sindacati UNIA e OCST di organizzare tutte le misure di lotta necessarie per raggiungere gli obiettivi” – così si legge nella loro risoluzione.
Sul fronte politico si è mosso anche il Partito Comunista che commenta: “il padronato del granito non può permettersi di giocare con la vita degli operai e le loro famiglie. Dinnanzi ad un attacco frontale di tale entità, i lavoratori devono rispondere con la stessa moneta minacciando con convinzione lo sciopero, anche prolungato”.

martedì 18 settembre 2012

Appello per la pace in Siria!

La Svizzera non deve partecipare all'ingerenze estere

Noi, firmatari di questo appello, vogliamo la pace in Siria e in Medio Oriente. Osserviamo con preoccupazione l'intensificarsi del conflitto siriano e il ruolo che gioca la Svizzera in questa situazione umanitaria allarmante.

Migliaia di siriani sono stati uccisi o sono in una situazione di terrore. La violenza aumenta costantemente, riducendo le chanche di una risoluzione politica e pacifica del conflitto.

Il dialogo tra il governo, l'opposizione e la società civile è la condizione imprescindibile per la risoluzione del conflitto. Gli sforzi di pace della comunità internazionale, specificatamente il piano di Kofi Annan, partivano da questa esigenza. Ma non tutti gli sforzi sono andati in tale direzione. La fornitura di armi, il sostegno logistico alla lotta armata e alla retorica di guerra orchestrata dai governi occidentali, le monarchie del Golfo e il governo turco distruggono tutte le speranze di pace.

Solo i siriani hanno diritto di cambiare, secondo i propri desideri, la situazione nel loro paese. Tuttavia la sovranità del popolo siriano non viene rispettata e così facendo si infrange il diritto internazionale. Le conseguenze sono chiare: la destabilizzazione della Siria e di tutta la regione.

La Svizzera e la sua industria d'armamenti sono entrambi implicati nei conflitti che toccano il Medio Oriente. Già durante il caso libico, il Qatar ha fornito armi svizzere ai ribelli. In seguito a un sospensione temporanea, l'autorizzazione di esportazione d'armi verso il Qatar fu ristabilita. Le autorità svizzere sono rimaste soddisfatte dalla spiegazione ufficiale: l'ammissione da parte di questo paese di aver commesso un errore. Non è sorprendente che con tale lassismo ci ritroviamo oggi con delle granate svizzere tra le mani dei ribelli siriani, rendendo la Svizzera complice dell'instabilità all'interno della regione.

Allo stesso tempo la Svizzera emana delle sanzioni nei confronti della Siria che deteriorano ulteriormente la situazione del popolo siriano e incoraggiano i ribelli a proseguire nella violenza. Il Dipartimento federale degli affari esteri ha inoltre finanziato una riunione dell'opposizione siriana destinata a preparare lo scenario nel caso di un'eventuale destituzione del governo siriano. Il governo svizzero calpesta così in modo eclatante la neutralità e compromette i suoi impegni per la pace e per le soluzioni multilaterali.

L'ingerenza negli affari interni siriani e il sostegno alle forze islamiste radicali non sono le uniche questioni scottanti. Il pericolo di un intervento armato straniero è reale. Il presidente francese François Hollande parla apertamente di guerra contro la Siria. Ciò s'inscrive nel disegno dei fautori di un intervento, che vorrebbero, attraverso un azione militare, porre la Siria nel caos, come successo a tutti i paesi invasi dalle forze della NATO.

Noi ci opponiamo in modo chiaro a qualunque intervento militare in Siria. Una guerra come quella contro la Libia non deve ripetersi. Migliaia di persone sono morte sotto le bombe della NATO. La forza delle armi non costruisce la democrazia, ma i cimiteri.

Noi attendiamo la stessa posizione da parte del Consiglio Federale.
Concretamente noi domandiamo:

1. Di rispettare strettamente la sovranità del popolo siriano e di trattare qualunque ingerenza negli affari interni siriani come una violazione del diritto internazionale
2. Di rompere le relazioni (commerciali) con i paesi che non rispettano la sovranità della Siria e che promuovono una politica di escalation contro questo paese
3. Di rivedere tutta la retorica di guerra e d'intervento militare nei confronti della Siria
4. Di opporsi a qualunque risoluzione dell'ONU che aumenti la pressione sulla Siria e che di fatto possa aggravare le tensioni
5. Di sospendere le sanzioni contro il popolo siriano
6. Di assicurarsi che lo spazio aereo e terrestre svizzero non sia utilizzato militarmente contro la Siria
7. Di cessare qualunque esportazione di armi

Gli stati dell'Europa occidentale, tra cui la Svizzera, devono contribuire a trovare una soluzione al di fuori del conflitto armato. Per questo bisogna rinunciare all'escalation e al linguaggio di guerra. I popoli possono spingere i loro governi a cambiare politica, é attraverso questa prospettiva che noi proponiamo il nostro appello per mettere fine all'ingerenza, formando un largo movimento in favore della pace.

giovedì 10 maggio 2012

Dichiarazione del Partito Comunista in occasione del 1° maggio 2012


Il Partito Comunista, in occasione della giornata dei lavoratori tiene ad esprimere la propria solidarietà e il proprio sostegno a chi fatica ogni giorno per arrivare alla fine del mese.
All'alba del XXI secolo, in Svizzera, ancora non esiste un salario minimo per tutti i lavoratori e le lavoratrici, l'orario di lavoro legale è di 45 ore a settimana, non esiste una vera tutela contro i licenziamenti capricciosi di imprenditori che non vedono altro che i loro profitti e la disparità salariale tra uomini e donne è ancora mediamente superiore al 20%. Questo è il triste disegno, parziale, di un paese in cui ci sarebbe ricchezza a sufficienza per ripagare il debito pubblico di mezza Europa.
D'altra parte, è ormai più di un secolo che si festeggia il Primo di Maggio in tutto il mondo, ma anche in occidente i diritti dei lavoratori sono sotto attacco. Con l'appoggio di FMI e BCE, i governi europei stanno facendo pagare tutta la crisi a chi lavora, invece di andare a batter cassa dai monopoli. Se il pensionamento a 65 anni, in Svizzera è la regola da più di 60 anni, fino a poco tempo fa era l'eccezione in Europa. I contratti collettivi basati sulla pace del lavoro vengono imposti a tutti paesi UE direttamente da Bruxelles su consiglio dei dirigenti sindacali europei. La libertà di licenziare come e quando si vuole, alla pari di come si può fare da sempre nella amata Confederazione, negli ultimi mesi ha ispirato più di un ministro Goldman Sachs. Insomma, pare che siano più gli europei che diventino svizzero-compatibili che non il contrario, alla faccia di chi a sinistra diceva che entrare nell'UE avrebbe reso il nostro paese più sociale.
Una volta di più si dimostra quanto è marcio il sistema, e le soluzioni scelte dai potenti non faranno che peggiorare la situazione. La crisi sarà sempre più profonda e le tensioni sociali e geopolitiche si faranno sempre più forti, ma nonostante ciò il capitalismo non cadrà da solo. Tutti lo sanno, nessuno regala niente, per cui il Partito Comunista invita tutti i lavoratori e le lavoratrici a mobilitarsi per difendere e conquistare i propri diritti. Il Partito Comunista si unisce inoltre a coloro che in tutto il mondo rinnovano la lotta per una nuova società socialista ed invita i lavoratori e i popoli sfruttati a ribellarsi contro l'imperialismo e a difendere la pace.
In Ticino, il primo di maggio 2012, il partito comunista scenderà in piazza per rivendicare:
  • Un salario minimo di 4'000 fr al mese o 22 fr all'ora per tutti
  • L'introduzione della giornata lavorativa di 8 ore (40 ore settimanali)
  • L'introduzione delle penali contro i licenziamento (per ogni anno di lavoro in azienda de essere versato un mese di salario)
  • Un tassa dei milionari per finanziare le assicurazioni sociali, di cui una cassa malati unica e sociale e una super AVS.
  • Il diritto di voto e di eleggibilità per i lavoratori stranieri con permesso B e C

lunedì 19 marzo 2012

Leonardo Schmid, candidatura al Consiglio comunale di Locarno


Nella mia azione politica le priorità me le faccio dettare da coloro che ogni giorno si confrontano con me, i lavoratori e le lavoratrici che da anni stanno facendo enormi sacrifici e i compagni e le compagni con cui lotto giorno per giorno da ormai quasi 10 anni. Per un comunista stare all'ascolto delle preoccupazioni della popolazione è un punto fermo del modo di fare politica. Per fare questo bisogna però ricominciare ad anteporre i diritti fondamentali di ognuno, agli equilibri di bilancio e l'andamento delle borse. I lavoratori e le lavoratrici si sono preoccupati fin troppo di salvare l'apparato statale della borghesia. In una azione politica di tipo istituzionale, quale comunista, molto probabilmente in minoranza, non avrò certo modo di risolvere i grandi problemi che affliggono i ceti popolari. Non per questo però, non mi batterò per ridare senso al dibattito politico, ormai lontano dalla "gente" come direbbero i para-fascisti della Lega.


In primo luogo mi batterò per i diritti fondamentali delle persone e delle famiglie:
  • Il diritto ad avere una casa e che sia confortevole. Nei centri urbani è necessaria la municipalizzazione dei quartieri popolari, contro la speculazione edilizia e la politica dei letti freddi, che a Locarno raggiungono quota 50%. Un numero impressionante di bucalettere appartiene a ricchi turisti o società "offshore" che imbrogliamo il fisco di chissà quale paese. Questa presenza provoca la speculazione sugli affitti, mettendo in concorrenza i lavoratori indigeni con i portafogli dei "buoni contribuenti", come ama spesso definirli il partito socialista. La lotta contro la speculazione edilizia comprende anche quella per la salvaguardia del suolo cittadino, mi oppongo quindi alle costruzioni che distruggono la natura e sostengo un miglioramento della qualità delle costruzioni.
  • Il diritto all'educazione pubblica e gratuita. Gli stabilimenti delle scuole comunali potrebbero essere messi a disposizione di una più ampia fascia della popolazione, fuori dall'orario di lezione, di modo da usufruire di ampi spazio pubblici per favorire l'educazione di tutta la popolazione, negli ambiti pIù vari. La scuola pubblica e gratuita deve comprendere anche servizi di sostegno alle famiglie quali asili nido, mense e dopo scuola. Nella difficile situazione in cui si trovano moltissime giovani coppie o ancor più le madri o padri soli con figli a carico, sarebbe il minimo che gli enti locali potessero fornire sostegno alla maggioranza ancora costretta a rivolgersi presso dei privati a prezzi esorbitanti.
  • Il diritto a spazi d'incontro, liberi dalla logica di mercato, quali centri sociali per giovani o circoli di quartiere con prezzi moderati e con accesso alla cultura in ogni genere, con una particolare apertura alla conoscenza delle numerose culture "straniere" presenti sul suolo svizzero. Mi batterò, con i mezzi che avrò a disposizione per cercare di riconoscere il diritto di voto agli "stranieri" con permesso C e B.
  • Mi batterò contro ogni "eccezione" in ambito fiscale, al contrario mi impegnerò per far pagare chi ha le possibilità di farlo. Bisogna riuscire a frenare il fallimento programmato dei comuni, con le conseguenti fusioni dettate da mere ragioni di sopravvivenza finanziaria. Per farlo è necessario stabilizzare il tasso d'imposizione cantonale e ridistribuire maggiormente alle regioni periferiche ed ai centri medi che offrono i servizi per delle regioni intere. I comunisti hanno a cuore la sopravvivenza della vita di paese, della cultura delle nostre valli. In questo senso mi batterò contro le fusioni anti-popolari, che mirano a ridurre il numero di consiglieri comunali e accentrare il potere nei centri economici della finanza, l'industria e il turismo.


Infine, ma non per questo meno importante, per un militante comunista, il fatto di rappresentare qualcuno in un'istituzione, per quanto borghese essa sia, significa anche acquistare la legittimità di criticare e proporre soluzioni più generali. Molti, nell'estrema sinistra, criticano il Partito Comunista perché si preoccupa di "aiuole e marciapiedi", io ritengo che una tale posizione permette di denunciare con più forza tutti quegli affari nell'ombra che spesso vedono invischiati i rappresentati dei partiti di governo (Lega, Plrt, Ppd, Ps). Il capitalismo è un sistema globale, ma proprio per questo va combattuto ad ogni livello, l'impegno locale è un elemento essenziale della costruzione di un movimento popolare sincero e combattivo. Non ci fermeremo fino al socialismo :-)

giovedì 15 marzo 2012

Prepariamoci all'attacco frontale alle condizioni di lavoro nell'industria


Poco più di un anno fà, la Trasfor di Molinazzo di Monteggio ha lanciato l'ondata di attacchi nei confronti degli operai elettromeccanici, metalmeccanici, elettronici e tessili. Tutto d'un tratto, l'indebolimento dell'euro e in generale la questione cambio, diventa un fattore essenziale della stabilità finanziaria di una ditta. Lo spauracchio della crisi è subito sbandierato, si tratta ancora una volta di attaccare i lavoratori, chiedendo il sacrificio di lavorare due ore in più a gratis o di essere pagati in euro. 
Il direttore dell'Aiti (Associazione industriali ticinesi) chiede la “simmetria de sacrifici”. Triste espressione, già usata da Marina Masoni ai bei tempi degli sgravi fiscali per i ricchi. In questo caso si intende che, viste le perdite sugli utili delle imprese – ossia che hanno guadagnato meno miliardi che l'anno scorso –  a causa dell'indebolimento dell'Euro, devono essere i lavoratori ad offrire tempo di lavoro gratuitamente all'azienda.

Chi, a suo tempo, ha pensato che questo stratagemma sarebbe stato solo un episodio isolato deve ormai ricredersi. Sono ormai, solo in Ticino, una ventina le aziende che hanno già adottato l'aumento delle ore o misure di ritorsione anche peggiori. Una Balck List è stata stilata da Unia ( HYPERLINK "http://www.unia.ch/Black-list.5992.0.html"http://www.unia.ch/Black-list.5992.0.html) nella quale sono inserite ditte simbolo come AGIE Charmilles e Rìrì oppure colossi come la Consitex che impiega quasi un migliaio di operaie o lo stabilimento del gruppo Mikron. 

Dietro lo spauracchio Franco forte, si cela sempre l'ombra nera della delocalizzazione. Il recente esempio da manuale di Novartis che è riuscita à farsi concedere 3 ore  settimanali supplementari a gratis, la delibera di permessi edilizi su ampi terreni a Nyon e dei favorevolissimi alleggerimenti fiscali, deve essere d'insegnamento per i dirigenti sindacali locali. Nel capitalismo, gli azionisti delle grandi industrie sono unici a poter decidere sulla possibilità di eliminare centinaia se non migliaia di posti di lavoro delocalizzando. Tuttavia le grandi industrie svizzere, quando minacciando di delocalizzare, non fanno altro che ricattare la politica, che oggigiorno è più che d'accordo, per ottenere ulteriori privilegi e libertà. Si tratta di un teatrino poter giustificare qualsiasi furto al salario diretto e indiretto e dei diritti dei lavoratori, dove sindacati e autorità mettono in scena delle “pressioni”  contro la delocalizzazione.

Sul fronte politico la notizia più positiva è l'ammissione di colpa del presidente UDC Toni Brunner che getta definitivamente la maschera. Dovrà ricredersi chi sostiene che l'UDC fa gli interessi del popolo svizzero. A meta mese di luglio del 2011, il presidente del partito di estrema-destra ha affermato “le imprese devo avere la libertà di agire per salvare i posti di lavoro che potrebbero partire all'estero”. Di quali interessi si tratta se si è pronti a concedere ulteriore libertà a chi già è libero di sfruttare migliaia di lavoratori? La domanda retorica serve a dimostrare come l'UDC rappresenta gli interessi degli azionisti delle grandi industrie. Toni Burnner e camerati non si sognerebbero  mai di usare la stessa arroganza e violenza che usano contro gli stranieri, all'indirizzo di chi minaccia di delocalizzare, eppure si tratta di un vero e proprio attacco ai diritti fondamentali del popolo svizzero, quello di avere un lavoro. 

In realtà tutta la “l'alta politica” cantonale e nazionale si schiera con la borghesia. Dal centro-sinistra all'estrema-destra quando si tratta di decidere come si dovrebbe organizzare la produzione nazionale e garantire i posti di lavoro, sono sempre in prima linea per svendere le condizioni di lavoro. I comunisti invece sostengono che la politica deve dedicarsi a difendere e migliorare l'apparato produttivo nazionale quale fonte di sostentamento per il popolo, soprattutto andando a recuperare la ricchezza rubata dai capitalisti.

In questo scenario i sindacati si trovano, come spesso succede, imbrigliati in un passato sindacale da dimenticare. L'abitudine di cedere ai ricatti, soprattutto quando la posta messa in gioco dai padroni sono i posti di lavoro, è ben radicata e difficile da cambiare. Urge quindi riaprire una discussione, sia sui luoghi di lavoro, sia a sinistra, sulla centralità del conflitto capitale-lavoro e la maniera in cui bisogna contrastare l'avanzata aggressiva del padronato. In fondo si tratta semplicemente di riscoprire che la società è composta da classi in lotta l'una contro l'altra e che nel capitalismo i proletari e i padroni sono le classi antagoniste. 

La crisi economica che colpisce l'Europa, non da speranza per una risoluzione “pacifica” del conflitto con il padronato. Continuare a sottostare alle pace del lavoro, credendo che i padroni svizzeri faranno beneficenza è un illusione pura. L'unico modo per smuovere un padronato sempre più goloso, è quello del conflitto, dello sciopero, della lotta di classe. 

Per farsi rispettare i lavoratori e le lavoratrici hanno a disposizione la possibilità di denunciare pubblicamente le loro condizioni di lavoro, di astenersi dal lavoro causando il blocco della produzione, occupare la sede di produzione, scendere in manifestazione, occupare stabili pubblici pacificamente, ecc, ma questo può avvenire solo quando esiste un movimento fortemente unito e organizzato. Attualmente il movimento operaio svizzero è piuttosto dormiente o essenzialmente vacato alla lotta istituzionale, sta quindi a quelle compagne e quei compagni impegnati e dediti alla causa del movimento operaio, implementare la lotta per permettere la difesa dei diritti dei lavoratori delle lavoratori. 

La questione cambio è quindi un ennesima campagna riuscitissima del padronato, che negli ultimi mesi ha potuto sfruttare ulteriormente migliaia di lavoratori, senza sganciare un centesimo supplementare, anzi riducendo i salari. La lotta di classe la stanno conducendo bene e la stanno sinceramente vincendo, ora tocca a chi lavora svegliarsi e iniziare a farsi sentire, partendo da ogni singola fabbrica, da ogni luogo di lavoro.