Tuttavia, a dieci anni di distanza, il
padronato del granito e l’Associazione Industrie dei Graniti Ticinesi
(AIGT) contestano l’importantissima conquista. Per tramite di uno studio
legale, l’AIGT ha inoltrato un ricorso alla SECO contro
l’assogettamento degli scalpellini al Contratto Nazionale Mantello
dell’edilizia (CNM). Tale ricorso riporterebbe ad una situazione
antecedente la Prima Guerra mondiale che non contemplerebbe dunque un
Contratto Collettivo di Lavoro del granito (CCL-Ti).
La disdetta unitalerale del CCL-Ti, che
fungeva da complemento al CNM, aveva già lanciato i primi segnali
d’allarme ad inizio anno. Con il ricorso inoltrato a fine agosto, gli
imprenditori hanno anche lanciato una dichiarazione di guerra dove non
c’è pace sul lavoro che tenga. Non avere un CCL significerebbe infatti
perdere: salari minimi, tredicesima, regolamentazione degli orari, una
settimana di vacanza ed il pensionamento anticipato a 60 anni.
Gli operai delle cave fanno un lavoro
molto duro e pericoloso per la salute. Un lavoro fisico che, fino
all’anno scorso, prevedeva delle discrete condizioni di lavoro: 42.5 ore
di lavoro in media alla settimana, una salario minimo di 25 Fr.-
all’ora, una buona copertura contro le malattie e gli infortuni
professionali, ecc.
D’altra parte il granito estratto in
Ticino è destinato al mercato dell’edilizia svizzero: sia quello
abitativo che delle infrastrutture. Il patrimonio di questa materia
prima deve essere difeso preservando l’ambiente e la qualità del lavoro,
come anche permettendo agli operai di eseguire le loro mansioni nel
migliore dei modi e con delle ottimali garanzie lavorative.
Nei prossimi mesi bisognerà quindi
lottare per garantire l’assogettamento degli operai delle cave al
contratto degli operai edili (CNM) ed ottenere un CCL-Ti migliorativo.
Dopo mesi di trattative infatti, non solo nessun risultato tangibile è
stato raggiunto, ma addirittura, mediante un ricorso, si è giunti ad un
ulteriore attacco contro il decreto d’obbligatorietà generale del CNM.
Il rischio reale è che, anche nel settore del granito, si arrivi ad una
giungla della mala-edilizia.
La strada della lotta risulta pertanto
il solo cammino percorribile, secondo i sindacalisti. Riuniti in
assemblea congiunta a metà settembre, gli operai delle cave ticinesi
hanno approvato una risoluzione che rivendica chiaramente il ripristino
dei dispositivi contrattuali. Al fine di ottenere quanto richiesto, i
lavoratori hanno votato lo stato d’agitazione: “si dia mandato alle
organizzazioni sindacali UNIA e OCST affinché siano messe in atto tutte
le misure d’informazione e di coinvolgimento delle maestranze
necessarie. Si autorizzano espressamente i sindacati UNIA e OCST di
organizzare tutte le misure di lotta necessarie per raggiungere gli
obiettivi” – così si legge nella loro risoluzione.
Sul fronte politico si è mosso anche il
Partito Comunista che commenta: “il padronato del granito non può
permettersi di giocare con la vita degli operai e le loro famiglie.
Dinnanzi ad un attacco frontale di tale entità, i lavoratori devono
rispondere con la stessa moneta minacciando con convinzione lo sciopero,
anche prolungato”.