sabato 4 dicembre 2010

Appello ai comunisti del PsdL - Sinistra Europea, persa ogni speranza, meglio unire i comunisti




Il 3-5 dicembre 2010 si svolgerà il terzo Congresso del Partito della Sinistra Europea (SE). Esso si basa su un documento politico che non è stato possibile discutere in seno al nostro Partito. I compagni e le compagne del Comitato Centrale (CC) del Partito Svizzero del Lavoro (PSdL) e le sue sezioni cantonali hanno ricevuto una bozza del documento congressuale nel mese di agosto, ed un’altra il mese di ottobre (sempre e solo in francese), mentre il documento finale non è mai stato inviato nemmeno al Comitato Direttore (CD) del PSdL. 
Il 6 novembre, in seno al CD del PSdL si è discusso del congresso della SE. Alcuni compagni hanno sollevato le critiche relative ai ritardi nella presentazione dei documenti. La risposta venuta dai membri dell’esecutivo della SE si è limitata a sottolineare le difficoltà organizzative che comporta la costruzione di un partito a livello europeo. Una domanda successiva indagava sui finanziamenti che la SE riceve dall’Ue, i quali dovrebbero permettere alla SE un buon funzionamento, anche da un punto di vista pratico. La riposta è stata che l’Ue non permette di usare i soldi in modo autonomo! 
La SE è quindi un partito legato a doppia mandata con l’Ue. Le proposte di cambiamento radicale sbandierate dalla SE non potranno essere realizzate, fintanto che ci sarà una sudditanza nei confronti  della Unione Europea. Del resto, dai documenti presentati (che ricordiamo sono solo delle bozze) non è possibile acquistare fiducia in questo Partito. 
A livello contenutistico la seconda bozza (presa come il documento più definitivo a nostra disposizione) non rispecchia la posizione che è stata espressa in due occasioni dalle istanze del PSdL (Congresso Nazionale di Zurigo e Conferenza Nazionale di Neuchâtel) al riguardo dell'Unione Europea. In particolar modo quando nel documento si afferma, più o meno apertamente, che per i paesi d'Europa non c’è futuro all'infuori dell'Ue. Al contrario, nel PSdL si sta scegliendo l’opposizione all’adesione della Svizzera nell’Ue. 
La posizione espressa dall’ufficio politico della SE non riconosce il dato soprastrutturale secondo cui l’Unione Europea non è fondamentalmente legata ad un territorio e ad una popolazione, ma un’istituzione voluta e manovrata dal capitale monopolistico, avente come obiettivi il rafforzamento delle sfruttamento su tutto il continente e l’espansione imperialista dei grandi monopoli. La fiducia rinnovata, non ad un ceto politico che la dirige ormai indifendibile, ma all’istituzione europea, mostra concretamente il basso livello di analisi avanzato nel testo congressuale della SE. 
Invece di preoccuparsi del fatto che i cittadini dei paesi europei stanno perdendo la fiducia nell’Ue, la SE dovrebbe invitarli ad abbattere l’Ue, come fanno i compagni greci del KKE e tutti i comunisti seri nel nostro continente. La preoccupazione dei comunisti non deve riguardare la buona salute dell’Ue, ma quella delle lavoratrici e dei lavoratori, delle classi popolari e dell’ambiente. Per noi è evidente che non è possibile stare con l’Ue e allo stesso tempo con le classi popolari, sono due posizioni inconciliabili! 
D’altronde nel testo non viene mossa nessuna critica alla politica imperialista dell’Ue, che sostiene fortemente l’avanzata dei monopoli europei nella conquista del mondo. In particolare andrebbero denunciati il sostegno che l’Ue continua a portare ad Israele - quale Stato criminale ed espansionista - e la preparazione della guerra all’Islam ed a tutti coloro che si oppongono apertamente all’imperialismo. 
Più in generale il documento appare debole dal punto di vista dell'analisi di classe dello stato di cose presenti e quindi del progetto politico complessivo. Dal testo non si riesce a capire quali sono le principali contraddizioni che la SE dovrà affrontare nelle lotte concrete. Il testo se la prende principalmente con gli esecutori dello sfruttamento (i manager) o peggio ancora con delle entità astratte come i “mercati”. A più riprese i mercati sono accusati di comandare tutto, come se dietro ai mercati non ci fosse nessuno a dirigerli. In nessun caso si fa riferimento agli azionisti e alla borghesia monopolista. Le proposte avanzate rimangono ristrette al quadro parlamentare e spesso di stampo riformista. 
La discesa in campo per l’organizzazione e l’unificazione delle lotte dei lavoratori e delle lavoratrici dovrebbe essere la priorità assoluta per la SE. Nella situazione attuale, una SE degna di questo nome dovrebbe essere in prima linea per promuovere e sostenere uno sciopero generale europeo, mentre continua a dilungarsi ne più ne meno di tanti borghesi, sulla regolamentazione dei mercati finanziari. 
Infine il testo non presenta nessuna analisi sulla situazione della SE stessa. Non è stato presentato nessun documento critico del funzionamento del partito, come se non si incontrassero difficoltà nel percorso di costruzione della SE.  
Preso atto di quanto sopra, proponiamo che il PSdL non si impegni più nella costruzione della SE. Le priorità a livello internazionale dovranno piuttosto tendere allo sviluppo di relazioni, in Europa e nel mondo, con i partiti comunisti e operai che non hanno abbandonato i principi fondamentali del movimento comunista internazionale. 
Appelliamo quindi tutti i compagni e le compagne del PSdL a sostenere a questa posizione, che mira a rafforzare l’unità del movimento comunista internazionale e a demarcare una linea chiara tra chi vuole veramente lottare per il superamento del capitalismo, verso il socialismo e chi pensa semplicemente a fare una politica di “sinistra”. 
Invitiamo pure tutti quei compagni e tutte quelle compagne di altri paesi, che condividono la posizione sviluppata sopra, a sostenere quest’appello che vuole rafforzare i legami dei comunisti   svizzeri con i comunisti europei e di altri continenti. 
Primi firmatari : 




Premiers signataires : 
Leonardo Schmid, membre du Comité Directeur PST  
Cyrille Baumann, membre du Comité Directeur PST
Jean-Luc Ardite, membre du Comité Directeur PST
Massimiliano Ay, secrétaire de la section Ticino du PST - Partito Comunista
Franz Fischer, secrétaire de la section Bâle du PST - Neue PdA
Beat Wyss, membre du Comité Centrale du PST
Stefano Moretti, membre du Comité Centrale du PST
Esteban Munoz, membre du Comité Centrale du PST
Mattia Tagliaferri, membre du Secrétariat de la section Ticino du PST -Patito Comunista
Roger Stettler, membre du Comité Directeur de la section Berne du PST - PdA Bern
Amedeo Sartorio, membre du comité constituant  de la Jeunesse Communiste Suisse
Raffaele Morgantini, membre du comité constituant  de la Jeunesse Communiste Suisse
Nathan Mahrer, membre du comité constituant  de la Jeunesse Communiste Suisse 
Steven Boss, membre du comité constituant  de la Jeunesse Communiste Suisse
Aris Della Fontana, coordinateur de la Jeunesse Communiste (Ticino)
Quentin Stauffer, coordinateur de la Jeunesse Communiste (Neuchâtel)
Alessandro Lucchini, membre de la coordination de la Jeunesse Communiste (Ticino)
Edona Murati, membre de la coordination de la Jeunesse Communiste (Berne)
Mattia Antognini, coordinateur de la section Bellinzona de la Jeunesse Communiste (Ticino)
Roberto De Tulio, coordinateur de la section Momò de la Jeunesse Communiste (Ticino)
Davide Sutter, coordinateur de la section Locarno de la Jeunesse Communiste (Ticino)
Militants 
Janosch Schnider, Parti Suisse du Travail - Partito Comunista (Ticino)
Francesco Vitali, Parti Suisse du Travail - Partito Comunista (Ticino)
Stefano Boumya, Parti Suisse du Travail - Partito Comunista (Ticino)
Marina Wyss, Parti Suisse du Travail - Partito Comunista (Ticino)
Simone Romeo, Parti Suise du Travail - Partito Comunista (Ticino)
Gianfranco Cavalli, Parti Suisse du Travail - Partito Comunista (Ticino)
Simon Aellig, Parti Suisse du Travail - PdA (Bern)
Sebastian Pabst, Jeunesse Communiste (Ticino)
Marin Mikelin, Jeunesse Communiste (Ticino)
Elias Caccia - Jeunesse Communiste (Ticino)
Gioele Achille Gessler, Jeunesse Communiste (Ticino)
Linda Vanina, Jeunesse Communiste (Ticino)
Nora Binda, Jeunesse Communiste (Ticino)
Iared Camponovo, Jeunesse Communiste (Ticino)
Nicolas König, Jeunesse Communiste (Bern)
Media 
Kommunisten.ch
Solidaritéinternationalpcf.org
Resistenze.it
Lernesto.it
Kominform.at
Kommunisten.at
Solidarité internationaliste
Alessio Arena, Rifondazione Comunista - L’Ernesto (Italie)
Helmuth Fellner,  Kommunistischen Initiative (Autriche)

giovedì 4 novembre 2010

Muratori, si va indietro? Lottiamo per andare avanti!

Il settore edile ha bisogno di mobilitazione e di lotta. Da qualche anno gli operai non si fanno sentire, lo sciopero è tornato in un cassetto e così i padroni riprendono coraggio ed alzano ulteriormente la mira. Il 2011 porterà giocoforza a delle tensioni tra salariati e datori di lavoro. La “sacrosanta” pace del lavoro potrebbe rompersi sotto gli attacchi padronali durante le discussioni sul rinnovo del Contratto Nazionale Mantello dell'Edilizia Principale (CNM). L'arroganza del padronato si è mostrata più volte negli ultimi mesi. L'attitudine adottata sugli adeguamenti salariali ne è un primo esempio. Un'offerta massima di 30 franchi al mese (lordi), insufficiente per coprire già solo l 'aumento dei premi di cassa malati, figuriamoci il carovita complessivo.
In sede di trattativa per il rinnovo contrattuale, è stato sferrato un attacco duro e mirato da parte della SICC, contro i diritti dei lavoratori edili. Il tentativo promosso intenderebbe deregolamentare ulteriormente le condizioni di lavoro, introducendo una settimana lavorativa di 6 giorni, con un orario che può variare tra le 35 e le 48 ore, lasciando spazio alla più ampia flessibilità. Questa e altre gravi richieste come il licenziamento durante un periodo di malattia o la riduzione dello stipendio del 15% per i giovani sotto i 20 anni, sono sicuramente le prove generali per lanciare un più vasto attacco in tutti i settori del cantiere. È quindi necessario dare una risposta solida, in piazza, per far capire ai padroni che gli operai esistono ancora e che non devono essere sempre loro a fare sacrifici, mentre gli imprenditori realizzano enormi profitti.
L'economia nell'edilizia tira. Attualmente da un punto di vista della mole di lavoro il settore si sviluppa velocemente. Delle politiche finanziarie poco serie continuano a mantenere bassi i tassi d’interesse delle ipoteche. Al contempo i criteri di concessione di credito sono più che labili e sempre più spesso a tasso variabile, spalancando le porte agli speculatori immobiliari. Quando fare soldi facili, investendo nella finanza diventa più difficile, essenzialmente dopo la crisi del 2008, l’ideale dell'immobiliare come “bene rifugio” si è ulteriormente rafforzato. La crescita nel settore edile è molto forte, al punto da chiedersi se questo ritmo sia sostenibile a lungo termine. Per quel che riguarda la sostenibilità ambientale si sta sicuramente raggiungendo il massimo sopportabile.
Nonostante l’attuale fase di forte concorrenza, i prezzi delle case continuano a salire. Questo significa che la concorrenza influisce unicamente nel determinare l’azienda più performante, ma in generale i guadagni sui prodotti finiti rimangono elevati, soprattutto per le ditte più grosse. La crescita dei prezzi delle case è tendenzialmente dettata dalla grande domanda, sostenuta appunto dai bassi tassi ipotecari, ma non corrisponde al valore reale dei beni immobiliari. Di questo passo si alimenta la creazione di una bolla speculativa, che se dovesse esplodere, provocherebbe ingenti ripercussioni sui lavoratori edili, ma anche in tutti i settori collaterali, rischiando di trascinare l’intera economia cantonale (e nazionale) in una vera e propria crisi profonda. Gli effetti porterebbero ad una riduzione importante dei posti di lavoro nel settore e quindi anche nei settori collaterali. Ci sarebbe un aumento dell’esercito di riserva dei lavoratori, che favorirebbe la concorrenza tra salariati e quindi un ulteriore dumping.
Per evitare o almeno ritardare la crisi nel settore è quindi importante iniziare a tenere da conto il lavoro. Se le ditte tenessero al benessere del settore e anche di tutto il cantone, invece di licenziare, subappaltare e ricattare dovrebbero rallentare i ritmi, diminuire gli orari e assumere più personale. È chiaro che questo non potrà che essere contro gli interessi dei padroni, andandone ad intaccare i profitti. È altrettanto chiaro che per andare avanti i lavoratori devono trovare l'unità e difendersi l'uno con l'altro. La lotta di chi lavora, che lo si voglia o no, è di classe ed implica il conflitto con chi “da” il lavoro.
Uno sciopero nel settore edile dipende in primo luogo dai lavoratori. Solo loro possono decidere le modalità della lotta. Sicuramente ci saranno dei compagni che s'impegneranno per mobilitare. Sperando che quei compagni siano sempre di più e che la necessità della lotta venga capita fin nell'ultimo cantiere del Gambarogno o della Vallemaggia, ci auguriamo un pieno successo dei muratori nella battaglia per la difesa del CNM. perché chi lotta può perdere, ma chi non lotta ha perso in partenza. 

sabato 4 settembre 2010

Uno 0.1% per tutti





Il Partito Svizzero del Lavoro lancia l’idea di un contributo dello 0.1%, prelevato sulle grandi imprese che dispongono di un capitale proprio superiore ad un miliardo. Un imposta destinata ad un fondo sociale che possa finanziare le assicurazioni sociali attualmente in cattive acque finanziarie. Il nostro Partito non accetta che siano le classi popolari a pagare la crisi provocata dalla finanza internazionale, della quale fanno parte le grandi banche con sede in Svizzera, complici degli speculatori mondiali. 

L’anno 2010 sarà caratterizzato dal manifestarsi della crisi sociale come conseguenza della crisi finanziaria ed economica che l’hanno preceduta. In Svizzera i partiti borghesi avevano previsto un tale peggioramento della situazione economica. Avevano già preparato dei progetti di revisione delle assicurazioni sociali per diminuire le spese della Confederazione e “liberare” l’economia dal peso dello stato sociale. Le classi popolari dovrebbero quindi fare sacrifici, accentando la diminuzione delle prestazioni dell’AVS, dell’AI, dell'assicurazione disoccupazione e del secondo pilastro, mentre non si fa assolutamente nulla per risolvere i problemi della cassa malati. Il Partito Svizzero del Lavoro non può che opporsi a questa politica anti-popolare. 


In fondo i padroni nel nostro paese ci dicono che il buon andamento dell’economia è un obiettivo in quanto tale, che tutto il resto si farà da sé, che cosa questo voglia dire, pochi sembrano essere stati illuminati. Come si può pretendere di fare il bene dell’economia tagliando ogni tipo di prestazione sociale, mentre si continuano a fare regali ai ricchi con sgravi fiscali, forfait fiscali e segreto bancario? 


La risposta che è molto più semplice di tanti grandi discorsi. Questa economia è al servizio di un gruppo di oligarchi, il cui unico interesse è aumentare i loro profitti, senza minimamente preoccuparsi della stabilità economica e dello sviluppo armonioso della società svizzera. Quando i padroni dicono che l’economia va bene, stanno semplicemente constatando che i loro profitti continuano a crescere, mentre i salari non seguono nemmeno l’inflazione. Si creano quindi differenze sempre più gradi differenze tra coloro che lavorano e che vivono modestamente e i parassiti che sfruttando il lavoro degli altri, realizzano profitti impressionanti, anche in periodo di crisi. Non stiamo certo parlando degli immigrati, che lavorano in condizioni anche più dure degli svizzeri, ma di quelle famiglie che pur essendo il 4% della popolazione, detengono più della metà della ricchezza totale nel nostro paese. 


Questa gente non ha accumulato tali fortune con il proprio lavoro, ma facendo lavorare altri al posto loro, possiamo quindi considerare più che legittimo chiedere loro un contributo dello 0.1%. Alcuni ci diranno che siamo moderati perché, per le imprese toccate, l’effetto della misura sarà minimo. Un confronto: il salario medio in Svizzera è 5'700 franchi al mese. Lo  0,1% è di 5,70 franchi, cioè un caffè e un cornetto, meno di un pacchetto di sigarette! I comunisti non chiedono molto, solo che le grandi imprese diano in proporzione i soldi di un caffè e un cornetto ogni anno, per salvare lo stato sociale!

venerdì 4 giugno 2010

Cultura e contro-rivoluzione, la resistenza passa anche attraverso la liberazione dei popoli dalla propaganda al consumo.

Le crisi del capitalismo non ci sorprendono più. Noi, in quanto marxisti, conosciamo la natura del capitalismo e le crisi alle quali esso porta con regolarità. Eppure non è una crisi del capitalismo a indebolire i borghesi, al contrario spesso le crisi rafforzano la concentrazione del capitale in qualche monopolio. Negli ultimi anni si sono ripetute numerose crisi, ognuna con le sue caratteristiche proprie, nonostante il fatto che senza dubbio erano tutte crisi di sovrapproduzione. Nessuna di esse ha tuttavia portato automaticamente a un rafforzamento del proletariato nella sua lotta contro la borghe- sia. La controrivoluzione ha vinto delle battaglie sulla rivoluzione, perciò noi abbiamo il dovere di resistere e di rilanciare il movimento comunista internazionale, affinché possa intensificare i suoi colpi contro il capitale, senza timori, come ha sempre fatto in passato.
Ciò che voglio sviluppare a proposito della crisi è, a mia conoscenza, poco affrontato nelle riflessioni dei comunisti nel mondo. Voglio interessarmi all'effetto della pubblicità nel sistema di produzione. Oggi la pubblicità è diventata un fattore importante nella ripartizione dei mercati. Lenin ci ha insegnato 100 anni fa che le borghesie nazionali in eccesso di capitali sono sempre alla ricerca di nuovi mercati, all'estero con delle politiche imperialiste, ma anche nel loro territorio, con quella che chiamerò “l'innovazione nel consumo”.
Sappiamo che quando i mercati sono saturati e le possibilità di trovarne di nuovi diminuiscono, le potenze si dedicano a delle dure battaglie per rubarsi i mercati tra loro. Nel passato i conflitti interimperialisti sono giunti fino alla guerra,fortunatamente sotto questa forma essi non hanno quasi più avuto luogo dopo il massacro hitleriano. La guerra è diventata uno strumento di oppressione coloniale, almeno (dico almeno) altrettanto orribile, ma non è questo l'oggetto del mio intervento. E' della lotta tra le potenze imperialiste che mi occupo. Oggi esse si combattono – almeno per il momento - quasi soltanto sul piano politico ed economico. In questo gioco, la pubblicità e la propaganda mediatica svolgono un ruolo importante, come strumenti per la conquista dei mercati.
Dal 1973 l'Occidente capitalista è entrato in una fase di crisi di sovrapproduzione permanente, che obbliga i capitalisti a una esportazione di capitale accresciuta e a una ricerca costante di nuovi mercati. D'altro canto, la resistenza è sempre più forte nei paesi del Sud, con le lotte così ben descritte da Fidel nel suo discorso agli amici di Cuba del 1994. La libertà di manovra dell'imperialismo non ha cessato di incontrare dei movimenti di resistenza durante tutto il dopoguerra. Soltanto quando l'URSS è caduta abbiamo tremato e siamo indietreggiati, con tutti i popoli del mondo, ma non abbiamo perduto proprio tutto. Già nel 1999 il socialismo ricomincia il suo corso in Venezuela, trascinando con sé una parte importante del continente Latino Americano. Cuba, che ha resistito, si rialza come esempio per i popoli, e l'imperialismo ricomincia a tremare. Le crisi si ripetono in rapida successione, aprendo ogni volta una nuova guerra imperialista, dalla Jugoslavia all'Iraq, senza dimenticare l'Afghanistan, la Somalia, l'Honduras, e la lista è ancora lunga.
Attualmente la coordinazione dei paesi del Sud, dove il BRIC svolge il ruolo di motore nella cooperazione economica, ma non solo, dà fastidio agli imperialisti. I dirigenti del mondo devono mostrare i denti, ma sono già confrontati con i movimenti interni contro la guerra imperialista e con i difensori della pace fra i popoli. Sono anche sempre più in difficoltà a offrire una vita dignitosa ai popoli dell'Europa occidentale e dell'America del Nord. Il livello generale di educazione è costantemente in ribasso, la sicurezza sociale attaccata, la libertà di movimento e di espressione piegata agli interessi della sicurezza.
Gli imperialisti hanno allora bisogno di piegare il popolo con la propaganda mediatica e commerciale, forma di repressione mentale fondata sulla menzogna e sull'inganno. Tale campo di battaglia è eminentemente politico, è la lotta a livello della sovrastruttura, che attualmente ci vede perdenti. Il vantaggio oggi determinante, tra le mani dei capitalisti, è l'avere acquisito, come dice Gramsci, una “egemonia culturale” quasi assoluta. Agli occhi delle masse popolari, i capitalisti sono più credibili di noi. Noi non riusciamo a far conoscere le nostre idee, poiché le nostre strategie di comunicazione sono poco elaborate, in un mondo nel quale la comunicazione ha acquisito uno statuto con il quale dobbiamo fare i conti.
Se osserviamo l'evoluzione delle correnti economiche nelle più importanti scuole di economia in Occidente, constatiamo che a partire dagli anni 80 gli sviluppi delle tecniche di vendita hanno conquistato la leadership dell'economia borghese. Era necessario imparare a vendere meglio degli altri, poiché i mercati cominciavano a essere saturi. Oggi l'economia si fonda su dei “fatti” come : la redditività di un prodotto, il tasso di penetrazione di un mercato, i calcoli dei rischi, che sono i nuovi paradigmi del marketing. Il marketing è prima di tutto uno studio metodologico dell'arte di convincere qualcuno che il costo marginale, per comperare un determinato prodotto, è sufficientemente basso per comperarlo effettivamente. In altri termini, inculcare nei cittadini l'idea di spendere il loro denaro per un determinato prodotto, affinché il capitalista possa continuare a produrre e quindi a guadagnare denaro sfruttando le lavoratrici e i lavoratori.
Questo meccanismo conduce a un tale stato di alienazione collettiva che diventa necessaria una resistenza attiva contro quello che potrebbe essere definito come un fascismo mediatico del consumo. I cittadini sono socialmente obbligati a dilapidare il loro salario per dei prodotti dei quali non hanno bisogno materiale, fino al punto di trascurare la soddisfazione dei bisogni vitali.
La pubblicità è mirata a delle nicchie di popolazione definite in partenza in base al loro potenziale d'acquisto. Per esempio si può citare la propaganda su una nicchia di popolazione come l'infanzia, un'arma ignobile della borghesia contro i proletari. I pubblicitari esercitano una propaganda sui bambini tale che i genitori sono costretti a comperare loro dei bei giocattoli, talvolta e addirittura spesso di dubbio valore etico. Tutto per non apparire come dei cattivi genitori. L'egemonia culturale esercitata dalla borghesia nel nostro tempo istituisce i principi del consumo materiale come valori di definizione dei buoni genitori, mentre il tempo trascorso con i propri figli e l'
educazione che si impartisce loro passano spesso in secondo piano.
E' così che i grandi capitalisti realizzano la concentrazione del capitale. Arrivano a decidere che cosa i proletari devono comperare, cioè come devono utilizzare il loro salario. Questo rende i grandi capitalisti mille volte più competitivi, poiché li libera almeno parzialmente dalla pressione della concorrenza sui prezzi, esercitata dagli squali più piccoli. Lo sviluppo delle conoscenze attuali permette, grazie alla pubblicità, di arrivare a un circolo produttivo che obbliga i proletari a spendere il loro salario come vogliono i grandi capitalisti. Se è vero che la fase del capitalismo monopolistico di Stato ne era il preludio, oggi questo gioco è condotto dalla pubblicità, dalla moda e dalle tendenze, alienando il popolo della sua cultura storica e quindi anche nazionale.
Le nazioni diventano facili prede per quei falsi patrioti estremamente pericolosi che sono i fascisti. La destra nazionalista che aumenta sempre più in Europa è solo la lunga mano del capitalismo. I soli che possono rivendicare di essere patrioti, i veri difensori dei popoli, sono coloro che si battono contro il capitalismo transnazionale. Sono i continuatori del glorioso comunismo internazionale. Allora uno dei nostri compiti prioritari oggi, come comunisti, è quello di liberare i popoli da questa propaganda, il che significa vincere la battaglia culturale, che è parte integrante della lotta di classe.
Viva il movimento comunista internazionale Viva la solidarietà fra i popoli Viva la pace e la libertà
Leonardo Schmid, co-segretario esecutivo nazionale del Partito Svizzero del Lavoro Seminario Comunista Internazionale di Bruxelles, 14-16 maggio 2010